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ATTI CONVEGNO 18 giugno 2020
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Intervento Avv. ELVIRA PETROSILLO mediatore penale scolastico e familiare A.I.Me.F. componente dell’Associazione C.A.M. Gaia
Le crisi personali, coniugali e familiari portate nel contesto della mediazione familiare e le fasi critiche all’interno delle dinamiche familiari
La mia duplice natura di avvocato, che si occupa prevalentemente di diritto di famiglia, e di mediatore familiare, grazie alla continua collaborazione con l’associazione C.a.M.Gaia, mi porta ad affrontare le questioni con approccio pratico, pragmatico, anziché puramente teorico.
Ed è cosi che vorrei condurre la trattazione odierna, ossia partendo dai casi pratici, che mi sono occorsi nel corso della mia vita professionale, per farli diventare spunto di riflessione comune.
Come ben noto, in sede di mediazione le dinamiche che per prime vengono affrontate e che occupano la maggior parte dello spazio mediativo sono quelle di natura economica e quelle inerenti al rapporto con i figli.
1) Affronterei innanzitutto le dinamiche economiche.
Vorrei condurvi attraverso il percorso di separazione affrontato con due coppie di coniugi, entrambe in età giovane, con figli.
Nel primo caso, che chiameremo Romeo e Giulietta, si tratta di una coppia sposata da poco con un solo figlio. Lei professionista con un discreto reddito, lui disoccupato di lunga data.
Il secondo caso, che chiameremo Tristano e Isotta, riguarda una coppia sposata da 10 anni circa, con 5 figli. Lei inoccupata con reddito saltuario, lui stipendiato.
Possiamo ben notare, a primo acchitto, che i due casi sono speculari per ciò che concerne la detenzione del “potere economico”, nel primo caso della moglie e nel secondo del marito. Preme sottolineare che in entrambe i casi c’è il sostegno economico delle famiglie, ragion per cui nessuno ha intentato richiesta di mantenimento per il coniuge, ma solo per i figli.
La detenzione da parte di un coniuge del potere economico rispetto all’altro comporta necessariamente degli squilibri che in sede di separazione possono essere riassunti come:
- Influenza sul coniuge e sui figli.
- Il nostro Romeo è completamente alla mercé delle decisioni di Giulietta poiché non produce reddito. Questo avveniva anche in costanza di matrimonio. Secondo Giulietta, egli non può decidere cosa il figlio debba indossare o anche mangiare poiché non contribuisce economicamente all’acquisto dei prodotti. La mancanza di reddito di Romeo porta Giulietta ad una totale assenza di stima e di fiducia nei confronti del coniuge.
- Tristano, d’altro canto, utilizza il suo potere economico mortificando la controparte attraverso l’acquisto di vestiti di marca o prodotti di più alta qualità che i figli possono utilizzare solo ed esclusivamente solo nei momenti in cui sono con lui, per poi riportarli a casa con i vestiti vecchi.
- Potere decisionale sui figli (il coniuge che non produce reddito non può decidere unilateralmente di far fare delle attività, tipo palestra, ai figli senza il consenso dell’altro.
- Romeo non ha, ad esempio, diritto a concorrere alle decisioni inerenti alla salute (medico curante, ecc.) del figlio.
- Isotta, dopo la separazione, ha dovuto ridimensionare le attività ludiche dei figli a causa dell’insufficiente o incostante mantenimento.
- Utilizzo dei soldi come “mezzo di ritorsione” (la mancata puntualità nel pagamento del mantenimento è uno dei mezzi di ritorsione più utilizzati in corso di separazione. I coniugi sanno bene che per ottenere quanto dovuto occorre intentare una causa lunga e faticosa e che lo slittamento del pagamento di qualche settimana non ha particolari effetti negativi per loro, mentre pesa molto sulla controparte che non produce reddito.
- Nel nostro caso, ad esempio, Tristano per un periodo ha inviato solo delle quote parziali di quanto convenuto e quindi Isotta non ha potuto far svolgere ai bambini le attività extrascolastiche alle quali erano abituati in costanza di matrimonio.
2) Affronterei adesso la seconda dinamica familiare che principalmente va affrontata durante la mediazione, la cui principale criticità può essere riassunta come “diritto dei padri a stare con i figli”.
Anche in questo ambito le nostre coppie hanno assunto dinamiche opposte.
Romeo ha richiesto di poter passare più tempo possibile con il figlio, arrivando addirittura ad adire al Tribunale dei Minori per tutelare i propri diritti di padre. Questo si è, a suo giudizio, reso necessario poiché Giulietta non intendeva, una volta avviata la separazione, far incontrare il figlio con il padre per nessun motivo ed in nessuna circostanza.
Tristano invece ha assunto un comportamento molto più raro per chi si occupa di diritto di famiglia. Ha infatti richiesto di poter vedere i suoi 5 figli solo un pomeriggio a settimana per un paio d’ore, niente weekend e niente vacanze.
A prescindere ovviamente dalle considerazioni personali, i possibili commenti sono molteplici:
- Si noti anzitutto come coloro che detengono il potere economico siano coloro che cercano di dettare le regole in materia di figli. Il potere economico è spesso infatti confuso con il potere decisionale!!!
- Mai come in questi casi la mediazione ha potuto aiutare le coppie molto più velocemente e molto più efficacemente della legge. Mi spiego meglio.
- Nel caso di Romeo, posto che il diritto del padre a trascorrere del tempo con il figlio è assoluto e sancito, l’iter sarebbe stato molto più lungo per poterlo far valere. Nel frattempo lui non avrebbe potuto vedere il figlio quasi mai, anche perché Giulietta accampava presunte febbri del figlio ad ogni visita. A volte non facendosi trovare a casa.
- Nel caso di Tristano invece la legge è impotente. Non si può obbligare un padre a voler passare del tempo con i propri figli. Lo si può solamente portare a “pagare” in termini di accresciuto mantenimento il tempo che lui dovrebbe passare con gli stessi (occupandosi delle loro spese direttamente).
Ho potuto constatare, in definitiva, l’assoluta applicabilità delle principali tecniche di mediazione alle fasi della negoziazione assistita al fine di compensare parzialmente a tale squilibri e dunque arrivare a scelte condivise e bilanciate.
Infatti, secondo le tecniche che utilizza il mediatore, negli incontri si affrontano uno alla volta i problemi pratici, del quotidiano, si formulano in modo preciso i contenuti specifici. I risultati positivi raggiunti per tappe vengono valorizzati affinché permanga e si consolidi un rapporto di fiducia; si accolgono con empatia le emozioni, ma nello stesso tempo si contengono le tensioni emergenti per evitare il rischio dell’abbandono e si sollecita la collaborazione.
Nel nostro caso, hanno portato, ad esempio, a far prendere consapevolezza a Tristano circa il danno procurato non tanto al coniuge quanto ai figli dall’incostante pagamento della quota di mantenimento e dal poco tempo passato con loro, il che lo ha fatto ritornare sui suoi passi. Nel caso di Romeo e Giulietta, invece, è stato possibile mediare sull’acquisto e la somministrazione di alcuni prodotti (cibi e vestiario soprattutto) che Romeo voleva far avere al figlio e sul fatto che quest’ultimo avesse diritto di visita.
In conclusione, la mia formazione e la mia esperienza professionale mi hanno portato a ritenere che ci sia un elemento fondamentale che ciascun mediatore o avvocato dovrebbe far comprendere ai propri clienti in fase di separazione, ossia l’importanza della comunicazione. In mancanza di essa, i figli prendono il sopravvento e col tempo divengono sempre più ingestibili e questo a loro stesso detrimento.
Grazie.
Studio Legale e Mediazione Familiare Petrosillo&Dattola
Viale dei Normanni,149 88100- Catanzaro
Telefono: 347/0485242- 339/4332966
mail: studiopetrosillodattola@gmail.com Web : studiopetrosillodattola.it
Convegno 25 giugno 2020
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro ha concesso all’evento 3 crediti formativi

21 marzo 2019 – CAM Gaia è ospite della Camera dei Deputati
Il 21 marzo 2019 si è tenuto in Roma, presso la Sala della Lupa della Camera dei Deputati, il convegno “Incontrare la giustizia, incontrarsi nella giustizia” in occasione del quale è stato presentato il documento “La mediazione penale e altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile” e sono state esposte le raccomandazioni dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano.
Tra i partecipanti la vice presidente della Camera Mara Carfagna, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il vice presidente del Csm David Ermini, la presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza Licia Ronzulli e il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin.
Sono stati resi poi i contributi di Claudia Mazzucato (Università cattolica di Milano), Pasquale Bronzo (Università “La Sapienza” di Roma) e Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Prevista, inoltre, l’illustrazione di esperienze di giustizia riparativa in Italia con Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna, Elena Buccoliero (Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati), Annina Sardara (Centro per la mediazione pacifica dei conflitti di Sassari), Giovanni Ghibaudi (Centro di mediazione penale di Torino) e Alessandra Mercantini (Servizio di giustizia riparativa e mediazione penale di Catanzaro).
Il convegno è stato moderato dalla giornalista del TgRai Nadia Zicoschi.
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L’INTERVENTO DI ALESSANDRA MERCANTINI
Che cos’è la mediazione penale
Caso n° 1
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di minori decide di incaricare il Centro di mediazione Penale Minorile dell’esperimento di mediazione relativo al caso di Tizio (indagato per gli articoli 81 c.p.p., 612 e 594 C.P., in danno di Caio), procedendo ai sensi dell’art. 9 D.P.R. 448/88 ed inviando il relativo carteggio al Centro competente. L’equipe invita i soggetti interessati, vittima e reo, con una lettera a partecipare ad un incontro, durante il quale raccoglie il consenso e valuta anche l’opportunità, di proseguire nel percorso di mediazione. A tal fine, appare necessario procedere alla valutazione preliminare delle condizioni personali e familiari della parti ed, in primo luogo, del giovane indagato. Nel caso di specie, ad esempio, Tizio (che ha 17 anni) vive in un piccolo paese della provincia di Cosenza, frequenta il 4° anno dell’Istituto tecnico per geometri. Vive in famiglia, ed è il primo di due figli. Entrambi i genitori lavorano: la madre è insegnante ed il padre è imprenditore. Nessun precedente penale pregresso. Il Sig. Caio (parte lesa), ha invece 49 anni, vive anch’esso in un paese della provincia di Cosenza e svolge la sua attività lavorativa in città in un contesto scolastico contraddistinto, quindi, dal contatto quotidiano con il modo giovanile. E’ separato, ha due figli e vive solo. Nel primo colloquio con Tizio (all’incontro trattandosi di minori, erano stati naturalmente invitati anche i genitori), si procede alla spiegazione del significato e delle modalità della mediazione chiedendo ai genitori (che acconsentono) l’autorizzazione a sostenere un primo colloquio solo con il minore indagato. Viene chiesto al ragazzo di narrare l’accaduto dandogli il più ampio spazio nella discussione al fine di acquisire non tanto e non solo gli estremi delle vicende sottostanti alla mediazione quanto i timori connessi alle conseguenze del reato e le eventuali aspettative. La mediazione prosegue con la ricostruzione del fatto, pervenendo a conoscenza della sua effettiva consistenza, riconducibile a mero “scherzo telefonico”, realizzato nei confronti di soggetto assolutamente sconosciuto al minore ed individuato in maniera del tutto casuale. All’esito della forte reazione emotiva della vittima, il reo era pervenuto alla determinazione di proseguire nel suo atteggiamento integrando la comunicazione telefonica con offese e minacce dirette al malcapitato. Trattasi – come riferisce il minore – di determinazione assolutamente sconsiderata, assunta senza alcuna conoscenza delle conseguenze del suo gesto e della gravità dei suoi effetti. A tal fine Tizio dichiara di intendere incontrare personalmente Caio per poter ribadire quanto riferito ai mediatori. Si procede, dunque, ad incontrare separatamente Caio, informando anch’esso del significato e delle modalità della mediazione e chiedendo, ovviamente, il consenso a proseguire nel percorso. Il colloquio viene impostato con le medesime modalità già svolte nel corso del colloquio con il reo, assicurando a Caio piena libertà espositiva nella narrazione del fatto e delle sue conseguenze, dando ampio spazio alla persona perchè possa raccontare i termini del conflitto, esprimendo, anch’esso, timori ed aspettative connessi agli effetti del suo come del comportamento del reo. Caio conferma la ricostruzione dei fatti fornita da Tizio, riferendo di una telefonata anonima minacciosa ed intimidatoria, inizialmente sottovalutata ma reiterata più volte e con modalità sempre più preoccupanti. Caio appare visibilmente provato ed ancora seriamente preoccupato, solo da pochi mesi era riuscito a dare un volto al responsabile del fatto grazie all’attività investigativa dei carabinieri che avevano individuato l’autore del reato in un ragazzo di appena 17 anni. Mediante il ricorso al servizio della Telecom “Chi è” egli aveva tentato da solo di mettersi in contatto con il numero dal quale risultavano provenire le telefonate anonime, chiedendo inutilmente che tali vessazioni cessassero, perseguendo tale risultato solo mediante l’intervento forzoso delle autorità di polizia. Durante il colloquio è emersa la sensazione di un danno psicologico cresciuto nel tempo e riscontrabile in alcune parole della parte lesa ” ………il danno che ho subito è enorme, nessuno mi potrà mai resituire i 3 anni di incubo che ho vissuto e la serenità persa……“, lasciando intendere, inizialmente, la volontà di perseguire il risarcimento del danno subito anche attraverso l’azione giudiziaria esercitata dal suo legale di fiducia che lo avrebbe supportato durante tutta la vicenda e la cui partecipazione alla fase di mediazione viene ritenuta opportuna dall’equipe.
Deve precisarsi come sia stato estremeamente problematico il coinvolgimento di Caio nel percorso di mediazione stante la permanenza dei timori più volte ribaditi e ricondotti alle ripetute minacce ricevute e risoltesi nella determinazione di modificare il suo stile di vita, aumentando il sospetto verso il prossimo. L’equipe ha quindi evidenziato a Caio quanto fosse importante, per dissipare ogni suo timore, conoscere il reo e confrontarsi con lui cercando, da un lato, di comprendere le motivazioni dell’atto, ma anche e sopratutto di illustrare a Tizio le conseguenze del suo gesto, contribuendo ad integrare, in tal modo, la funzione mediatrice con quella pedagogica utile a consentire al reo di prendere consapevolezza degli aspetti più dolorosi del suo gesto. Proprio in virtù di quest’ultimo chiarimento, essendo Caio molto attento alle problematiche giovanili ed interessato sopratutto agli aspetti dell’educazione, lo stesso si è determinato all’incontro con Tizio che si svolge nella data e nell’ora fissata presso il centro. Durante l’incontro congiunto si ravvisa ad un atteggiamento ansioso ed un po’ bloccato nell’esposizione da parte di Tizio, mentre Caio continua ad essere chiuso e timoroso (restava seduto con atteggiamento rivolto nella direzione dell’equipe anche quando riferiva cose che riguardavano la controparte). Nonostante ciò è proprio Caio che, con tono sempre più pacato ed atteggiamento sempre più sereno, ripercorrendo le varie fasi della vicenda e le ansie che essa aveva determinato, contribuisce ad allentare la tensione, creando un clima calmo e disteso che l’equipe ritiene opportuno valorizzare, ponendo l’accento sui punti salienti del discorso e traghettando le em0zioni in direzione del giovane Tizio. Anche l’atteggiamento di quest’ultimo si modifica sensibilmente. Egli percepisce profondamente la sofferenza di Caio e riesce a trovare le parole giuste per esprimerla e chiedere le sue sentite scuse. I due si parlano direttamente, guardandosi in volto. La conversazione prosegue in altra direzione, il sig. Caio, infatti, mostra interesse per il percorso scolastico di Tizio e per i suoi progetti futuri. Si rende disponibile, dato il suo lavoro, a supportarlo nell’orientamento universitario. I due convenuti, raggiunti dal padre del minore, si accomiatano dall’equipe, sereni e soddisfatti ringraziando soprattutto per avere avuto la possibilità di esprimere liberamente tutte le più recondite emozioni in merito alla vicenda; e riferiscono di volersi recare presso la stazione dei Carabinieri per la remissione e contestuale accettazione della querela.
CASO N° 2
Il Giudicdelle udienze preliminari saminato il progetto predisposto, ritenuto congruo ai dettami normativi, sospende il processo per un periodo di mesi 9 e mette alla prova “Tizio e Caio”, ai sensi dell’art.28 D.P.R. 448/88, dispone inoltre che il servizio sociale inserisca un’adeguata attività di riconciliazione con la persona offesa dal reato. L’Ufficio Servizi Sociali Minorili, quindi invia al centro di mediazione la richiesta di intervento, con allegata copia del verbale di udienza preliminare. I minori, responsabili di una rapina a mano armata in una banca della loro città, sono stati sottoposti ad arresto e per un periodo assoggettati alla permanenza obbligatoria nella loro abitazione con la possibilità di frequentare unicamente la scuola. Il Centro di Mediazione Penale Minorile, acquisita telefonicamente la disponibilità del legale rappresentante della Banca, invita con lettera entrambe le parti a comparire davanti all’Ufficio di mediazione. Nel caso di specie, ad esempio, Tizio (che aveva appena compiuto i 18 anni) vive in città , frequenta il 2° anno di un Istituto tecnico non ha alcun precedente penale. Vive con famiglia, ed è il primo di due figli. La madre è commerciante, il padre è detenuto (informazione che però viene acquisita dall’equipe di mediazione in un secondo tempo, in quanto il ragazzo evita accuratamente l’argomento). L’altro reo, Caio, di 15 anni, all’epoca del fatto aveva appena compiuto i 14 anni. Frequenta il 1° anno di un Istituto tecnico, con ottimi risultati. Vive in città con la famiglia composta da tre figli e genitori, entrambi commercianti. La Sig.ra Mevia rappresenta la banca, presso la quale lavora da molti anni, che è stata oggetto di furto; era presente il giorno della rapina e vive in città. Nel primo colloquio con i rei (all’incontro trattandosi di minori, erano stati naturalmente invitati anche i genitori), si procede alla spiegazione del significato e delle modalità della mediazione chiedendo al genitore (che acconsente) l’autorizzazione a sostenere un primo colloquio solo con i minori indagati. Viene chiesto ai ragazzi di narrare l’accaduto dando loro il più ampio spazio nella discussione al fine di acquisire eventuali motivazioni sottostanti alla loro azione criminosa, i timori connessi alle conseguenze del reato e le loro eventuali aspettative. La mediazione prosegue con la ricostruzione del fatto, pervenendo a conoscenza della sua effettiva consistenza, riconducibile alla rapina da loro messa in atto e dall’evolversi delle situazioni susseguenti: dall’arresto, alla permanenza nel Centro di Prima Accoglienza, il successivo stato di detenzione ed il percorso di messa alla prova, consistente nella collaborazione con una cooperativa di assistenza domiciliare a persone gravemente ammalate. Man mano che i due ragazzi procedono nella narrazione, (è il più giovane che interloquisce con maggior disinvoltura), diventa sempre più lampante che i due ragazzi avevano agito per gioco e non per necessità. Contribuiscono a pervenire a questa convinzione, le modalità adottate nell’esecuzione dell’atto, assolutamente da principianti e posto in essere in maniera del tutto sprovveduta (l’atto viene deciso solo la sera prima, passando davanti alla sede della banca in questione ed il mezzo prescelto per la fuga (un piccolo scooter) viene lasciato acceso ad un isolato di distanza dalla banca, con il motore acceso e le chiavi inserite). Le circostanze di cui sopra hanno reso immediatamente chiaro l’accaduto, consentendo ai mediatori di convogliare subito la comunicazione sulla gravità della loro azione e sulle conseguenze gravi del loro gesto. I due si sono mostrati subito assolutamente consapevoli e responsabili, desiderosi di incontrare l’incaricato della banca per potersi scusare e finalmente poter rimuovere definitivamente questa brutta esperienza. Si evidenzia la positività della figura del padre di Caio che ha sempre accompagnato i due minori e non solo fisicamente. Gli stessi ragazzi, d’altra parte, gli attribuiscono grande importanza per essergli sempre stato vicino e disponibile; in particolar modo il figlio afferma di essere molto dispiaciuto sopratutto per l’atteggiamento del proprio padre, letteralmente così dichiarando” …avrei preferito che mi ammazzasse di botte ma il suo sguardo da quel giorno……….è cambiato è come se non si fidasse più di me… ora devo ricominciare tutto da capo per riconquistare il tempo perso….”.
Si procede, dunque, ad incontrare separatamente la sig.ra Mevia, informandola del significato e delle modalità della mediazione e chiedendo, ovviamente, il consenso a proseguire nel percorso.
Il colloquio viene impostato con le medesime modalità già svolte nel corso del colloquio con i rei, assicurando alla Sig.ra Mevia piena libertà espositiva nella narrazione del fatto e delle sue conseguenze, dando ampio spazio alla persona perchè possa raccontare i termini del conflitto, esprimendo, anch’essa, timori ed aspettative connessi agli effetti del suo come del comportamento dei rei. La Sig.ra Mevia conferma la ricostruzione dei fatti fornita da Tizio e Caio. Appare molto agitata e ancora visibilmene provata, anche se riferisce che col suo tipo di lavoro si è pronti ad esperienze di questo genere; afferma di aver provato molta paura e di essere stata infastidita anche dopo il fatto per una serie di procedure alle quali era stata sottoposta, come prassi, la banca dopo una rapina. Non conosceva il volto dei due aggressori e questo la lasciava molto perplessa benchè procede ad acconsentire all’incontro con i minori. L’equìpe ha evidenziato alla sig.ra Mevia quanto fosse importante, per dissipare ogni suo timore, conoscere i rei e confrontarsi con loro cercando, da un lato, di comprendere le motivazioni dell’atto, ma anche e sopratutto di illustrare ai minori le conseguenze del loro gesto. Durante l’incontro congiunto si ravvisa un atteggiamento molto agitato e ansioso da parte della sig.ra Mevia, mentre i due minori si mostrano tranquilli e desiderosi di giungere ad una riconciliazione. A tanto contribuisce proprio Mevia che, una volta dato un volto ai due rapinatori e percependo nell’immediatezza che si trattava di due ingenui regazzini, con tono sempre più dolce ma fermo e deciso, ripercorrendo le varie fasi della vicenda e le ansie che essa aveva determinato (Mevia, in condizione di ostaggio, si era sentita male, la guardia giurata della banca era armata e avrebbe potuto far fuoco), contribuisce ad allentare la tensione, creando un clima calmo e disteso che l’equipe ritiene opportuno valorizzare, ponendo l’accento sui punti salienti del discorso e traghettando le emozioni in direzione dei giovani. Essi percepiscono profondamente la sofferenza di Mevia e riescono a trovare le parole giuste per esprimerle l’acquisita consapevolezza e la responsabilizzazione alla quale erano giunti. I due raccontano del loro percorso di messa alla prova, di quanto profondamente li abbia segnati e delle gratificazioni personali e umane che ne stanno traendo, raccontano inoltre che da questa esperienza sono usciti profondamente cambiati, finendo per apprezzare, nel periodo di reclusionem la scuola (“…. andare a scuola era una festa, era l’unico modo per uscire dalle mura di casa…..”). Mevia ha molto apprezzato l’occasione che le è stata offerta con il percorso di mediazione perchè sentiva che in lei il senso di terrore dell’incognito si era ridimensionato e trasformato. I convenuti, si accomiatano dall’equipe, sereni e soddisfatti ringraziando soprattutto per avere avuto la possibilità di esprimere liberamente tutte le più recondite emozioni in merito alla vicenda.
Caso n° 3
II Pubblico ministero presso il Tribunale di minori decide di incaricare il Centro di Mediazione per l’esperimento di mediazione relativo al caso di Tizia (indagata per il reato di cui all’articolo 582 C.P., in danno di Caia), procedendo ai sensi dell’art. 9 D.P.R. 448/88 ed inviando il relativo carteggio al centro competente. Il Centro di mediazione invita quindi i soggetti interessati (vittima e reo), inviando loro una lettera con l’invito a voler partecipare ad un incontro preliminare preordinato ad acquisire il consenso all’ulteriore prosieguo del percorso di mediazione, da assumere secondo una personale valutazione di opportunità. Nel caso di specie, ad esempio, Tizia (che ha 15 anni) vive a Cosenza, frequenta l’ultimo anno della scuola media inferiore, si è appena trasferita col padre da Milano e vive con le tre sorelle ed insieme alla nonna. Il padre lavora e frequenta un corso serale per la licenza media, sta subendo la separazione dalla moglie che è rimasta a Milano col convivente e si dedica molto ai suoi figli con gli innumerevoli problemi legati non solo alla separazione ma anche al trasferimento. Non risulta alcun precedente penale pregresso a suo carico. La giovane Caia (parte lesa) ha invece 16 anni vive in famiglia ed è la prima di due figlie. E’ orfana di padre da poco tempo e la madre, ancora affranta dalla morte del marito, cerca di mantenere, la famiglia come può, è di umili origini e frequenta un corso serale per la licenza media (lo stesso del papà di Tizia), vive anch’essa a Cosenza e va a scuola. Nel primo colloquio con Tizia (all’incontro trattandosi di minori, erano stati naturalmente invitati anche i genitori) si procede alla spiegazione del significato e delle modalità della mediazione chiedendo ai genitori (che acconsentono in tal senso) l’autorizzazione a sostenere un primo colloquio solo con la giovane indagata. Viene chiesto alla ragazza di narrare l’accaduto dando il più ampio spazio alla sua discussione al fine di acquisire tanto gli estremi delle vicende interessanti il tentativo di mediazione quanto i timori connessi alle conseguenze del reato e le eventuali aspettative. Non c’è conoscenza pregressa tra le due ragazze né rispetto all’episodio c’è mai stata una precisa volontà di nuocere in alcun modo e per qualche motivo specifico; la vicenda potrebbe quindi ricondursi a semplice litigio tra coetanee e consistita, concretamente, nella difesa assunta da Tizia in favore di due amiche, apostrofando malamente Caia lungo il Corso cittadino determinando la sua reazione e la richiesta di intervento inoltrata alla polizia. La ragazza dichiara di intendere incontrare personalmente Caia per poter ribadire quanto riferito ai mediatori. Si procede, dunque, ad incontrare separatamente Caia (anche in questo caso trattandosi di minore era indispensabile la presenza della madre e nel caso specifico anche della sorellina minore presente al fatto) ed anche in questo caso l’equipe procede ad informare anche questi del significato e delle modalità della mediazione chiedendo, ovviamente, il consenso a proseguire nel percorso. Il colloquio viene impostato con le medesime modalità già svolte nel corso del colloquio con il reo assicurando a Caia piena libertà espositiva nella narrazione del fatto e delle sue conseguenze e dando ampio spazio alla persona perché possa raccontare i termini del conflitto esprimendo anch’essa timori ed aspettative connessi agli effetti del suo come del comportamento del reo.
Caia conferma la ricostruzione dei fatti fornita da Tizia ma la sua narrazione risente negativamente dell’accentuazione, da parte della madre presente, circa il contenuto dell’episodio manifestando grande apprensione e timore per il fatto di dover reggere da sola il peso di tutta la famiglia e soprattutto due figlie femmine. Caia è molto chiusa ma esprime il suo consenso all’incontro di mediazione. Durante l’incontro congiunto si rileva un atteggiamento decisamente più chiuso e bloccato nell’esposizione, da parte di Caia, mentre Tizia continua ad essere fiduciosa e serena nella direzione dell’equipe. Nonostante ciò è proprio Caia che adiuvata dalla sorella minore con tono sempre pacato ed atteggiamento sempre più sereno, ripercorrendo le varie fasi della vicenda e le ansie che essa aveva determinato, ricompone il conflitto e assume i reali contorni. Le ragazze vengono sollecitate a rivedere la vicenda dalle due diverse prospettive, a riflettere sulle tristi similitudini della loro vita ( l’una senza padre e l’altra con la mamma lontana, a dover scegliere dove vivere e con chi), ponendo l’accento sui punti salienti del discorso e traghettando le emozioni in direzione di entrambe. Anche Tizia partecipa attivamente rappresentando la sua posizione, percependo con chiarezza le insicurezze delle giovani astanti e scusandosi. Le ragazze chiedono quindi di essere lasciate sole per poter approfondire la loro conoscenza e l’equipe condivide ovviamente tale richiesta approfittando per restituire il conflitto ricomposto ai genitori delle giovani, che scoprono di essere compagni di corso, di avere anche loro simili preoccupazioni in qualità di genitori unici nella gestione delle rispettive famiglie , in particolare il padre di Tizia esprime la sua preoccupazione per le ripercussioni che quest’episodio potrebbe avere sulla sua causa di divorzio. I due raggiungono un buon livello di comunicazione e comprensione sopratutto delle reciproche difficoltà di educatori, si accordano per il ritiro e la contestuale accettazione della querela ringraziando soprattutto per avere avuto la possibilità di esprimere liberamente tutte le più recondite emozioni in merito alla vicenda. Le ragazze, rimaste in conversazione per tutto il tempo, nel salutare l’equipe la informano di aver convenuto un appuntamento per il pomeriggio sul corso cittadino, manifestando contestualmente la sopraggiunta serenità rispetto all’epoca dell’evento e la loro contentezza per il nuovo rapporto di amicizia che si è venuto a creare. L’equipe chiede infine al papà di Tizia di aiutare la mamma di Caia e lui decide anche di inviare un cesto natalizio.
CASO n°4
Il Pubblico Ministero esaminato il caso lo invia ai sensi dell’ari 9 D.P.R. 448/88, presso il Centro di attività di mediazione (C.A.M.) per il perfezionamento della procedura di riconciliazione con la persona offesa. Il minore Tizio è indagato per aver commesso un furto in una chiesa. Tizio ha 16 anni vive in famiglia ed ha diversi fratelli. I genitori, di umili origini, vivono in un piccolo paese della provincia di Crotone, lavorando come possono per controllare ed educare questi figli seppur a fatica. Tizio dopo aver preso la licenza media ha fatto diversi lavoretti saltuari e ultimamente aiuta lo zio nei mercatini rionali e non ha esperienze penali pregresse.
Don Caio ha 40 anni è il parroco della chiesa della frazione marina del paese e viene contattato telefonicamente manifestando il suo interesse all’incontro e dichiarando anche la piena disponibilità ad una fattiva collaborazione per sostenere ed aiutare il ragazzo e la sua famiglia. Nel primo colloquio con Tizio, (come sempre presenti anche i genitori) si procede a spiegare il significato e le modalità della mediazione e si chiede il consenso dei genitori a poter espletare un colloquio con il solo minore indagato. Il permesso viene accordato dai genitori non senza aver espresso tutto il loro risentimento nei confronti del figlio per il suo gesto, ritenuto ancor più deprecabile perché compiuto in un luogo sacro. Durante il colloquio con Tizio gli viene chiesto di narrare quanto accaduto e di manifestare un proprio parere in ordine alle conseguenze del reato che gli viene contestato, dando adeguato spazio al soggetto medesimo affinchè possa raccontare i termini del conflitto, esprimere le sue paure e le sue aspettative. Le manifestazioni del consenso vengono completate con la manifestazione di disponibilità anche della vittima a partecipare all’incontro di mediazione. Il giovane riferisce inoltre di non aver mai riflettuto sulle conseguenze del suo gesto e di non aver mai preso in considerazione l’eventualità e l’entità che potessero esservi così gravi ripercussioni nei suoi confronti. Egli dichiara quindi la sua intenzione di incontrare don Caio per potergli spiegare quanto a riferito all’equipe. Nel primo colloquio con quest’ultimo si procede a spiegare il significato e le modalità della mediazione e si chiede il consenso a proseguire il percorso di mediazione. L’equipe, già in tal senso telefonicamente rassicurata , colloquia col sacerdote che, anche in considerazione del suo ruolo conferma la sua collaborazione , riepilogando sommariamente la narrazione dei fatti e le conseguenze del reato ribadendo l’intento di partecipare all’incontro di mediazione direttamente con il reo. Durante questo incontro congiunto Don Caio, rivolgendosi con dolcezza al ragazzo, spiega quanto importanti siano per una parrocchia le offerte oggetto del furto e quale sacrificio rivesta la sua raccolta in un paese povero come quello in cui loro vivono. Inoltre, supportato dall’equipe, si sofferma a lungo per spiegare al ragazzo la pericolosità di gesti come questo che possono rimanere semplici ragazzate se sporadici e solitari ma possono diventare preludio di coinvolgimenti in attività malavitose se compiuti sotto l’influsso di terzi. Esprime grande preoccupazione per le cattive compagnie frequentate dal ragazzo e conseguentemente personali perplessità sull’idea che il giovane abbia agito solo. Tizio però insiste a dire di non avere avuto nessun complice ne di essere stato spinto da alcuno a compiere lo sconsiderato gesto (sebbene permanga il dubbio che il fatto possa rientrare nel rito di iniziazione per l’ingresso nel gruppo ). I genitori del ragazzo, preoccupati anche loro per il destino del figlio e per le cattive compagnie,rassicurano tutti che impegnato come è nel lavoro non ha più il tempo di frequentare quei ragazzi e si comporta bene. Tizio ha ascoltato con molta attenzione le parole del parroco e comunica con profondità le sue sentite scuse. Don Caio, da parte sua, mostra interesse per il percorso di vita di Tizio e per i suoi progetti futuri. A questo punto l’equipe gli suggerisce di pensare a qualche attività utile da far svolgere al giovane in seno alla parrocchia idonea a realizzare una sorta di concreto risarcimento morale per il danno subito ma anche e sopratutto un modo per far crescere il ragazzo e supportare la famiglia nel compito educativo. Il sacerdote concorda sulla proposta decidendo di coinvolgere il ragazzo nelle attività parrocchiali, salutando affettuosamente ricambiato, il giovane tizio e la sua famiglia, manifestando la sua soddisfazione del percorso intrapreso che gli ha consentito di aver potuto conoscere da vicino il giovane.
Che cos’è la mediazione familiare
La mediazione familiare è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione familiare o al divorzio, che si svolge in un contesto strutturato dove un terzo neutrale: il mediatore, qualificato e con formazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possono esercitare la comune responsabilità genitoriale. La Mediazione familiare si rivolge, dunque, a tutte quelle persone separate o in via di separazione che, travolte, sopraffatte e disorientate da questo evento, non riescono autonomamente ad uscire fuori dal loro legame e della loro storia, vissuta come un fallimento del proprio progetto di vita e, in alcuni casi, esito di un conflitto di coppia esacerbato e segnato da comportamenti aggressivi tesi al conseguimento della vittoria sull’altro. In questo senso la Mediazione Familiare si configura come intervento finalizzato a sollecitare e promuovere nei genitori separati le competenze, la motivazione al dialogo, attivando i potenziali spazi destinati alla cooperazione e alla coogenitorialità e a prevenire così il disagio dei minori. In altre parole la mediazione rende possibile la sfida di trasformare il dolore del conflitto in opportunità per migliorare la qualità della propria vita e altrui esistenza. L’ approvazione della Legge 8 febbraio 2006 n. 54, in vigore dal 16 marzo 2006, recante la denominazione “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” è frutto di un “travaglio” parlamentare durato ben 12 anni; tuttavia, il Legislatore, con la sua emanazione, ha indubbiamente dimostrato una certa sensibilità sociale accogliendo, sia pur parzialmente, i suggerimenti che provenivano da positive esperienze di mediazione straniere ed italiane. Attualmente, e probabilmente in virtù dell’emanazione della suddetta legge, si è riacceso il dibattito in materia tra gli esperti dei settore (psicologi, giuristi, mediatori, avvocati, sociologi) con una riproposizione innovativa delle problematiche riguardanti la crisi della coppia: l’ individuazione dei suoi sbocchi, il riverbero degli inevitabili riflessi a livello familiare, sociale e culturale. Fra gli addetti ai lavori si parla di una vera e propria rivisitazione della maggior parte dei concetti che finora si erano dati per acquisiti. La legge n.54\06 è certamente frutto di compromessi ideologici-politici, ma, nel contempo, rappresenta una coraggiosa novità che cambia radicalmente le regole di fondo del diritto di famiglia e, se concretamente e correttamente attuata – in primo luogo dai giudici della famiglia – rivoluzionerà le abitudini mentali e giuridiche degli italiani. Nello specifico essa modifica i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e introduce nel nostro codice civile con l’art. 155 (provvedimenti riguardo ai figli) la possibilità di stabilire forme di affidamento dei figli di genitori separati diverse dal tradizionale affidamento alla madre, o comunque a un solo genitore, cercando di privilegiare una scelta a favore della bigenitorialità; scelta, che per troppo tempo è stata molto poco considerata e adottata, con consequenziali ed inutili sofferenze a carico dei figli, i quali spesso, se non sempre, sono costretti a pagare un prezzo troppo alto, per le vicissitudini dei loro genitori. La legge in questione con l’articolo citato sancisce dunque, in modo inequivocabile, il diritto dei figli “a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”: Deve essere eliminato, quindi, l’artificioso e diseducativo schema di un “genitore del quotidiano” e un “genitore del tempo libero”; deve essere restituito ai figli il diritto di ricevere l’apporto educativo affettivo di entrambi i genitori, anche se separati e conflittuali tra loro. La conflittualità è l’ostacolo effettivo, apparentemente insormontabile, per superare il quale, il Legislatore indica, sia pure timidamente, uno strumento normativo e con l’art. 155 sexies (Poteri del giudice e ascolto del minore) offre al magistrato l’opportunità,” sentite le parti, e ottenuto il loro consenso,decide di rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’ari. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi dì esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo con particolare riferimento alla tutela del ‘interesse morale e materiale dei figli “.Sulla base di queste brevi considerazioni, pur constatando che lo Stato Italiano avrebbe potuto compiere un migliore e maggior sforzo legislativo, si può pacificamente affermare che tutti gli operatori del diritto familiare devono prendere atto che il nostro Paese intende, anzi ha inteso, porsi in linea con i recenti orientamenti culturali, in tema di separazione, degli altri paesi d’Europa. E’ un incontrovertibile dato di fatto l’accresciuta sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso le problematiche di coppia, sempre più diffuse per l’alta incidenza delle separazioni coniugali; altrettanto evidente la presenza di nuovi fermenti sociali e culturali che individuano prevalentemente nella Mediazione Familiare uno strumento particolarmente efficace a risolvere controversie e disaccordi tra genitori in via di separazione, specie in presenza di figli minori, quasi sempre, tristemente contesi. Sulla base della convinzione, suffragata da dati clinici, che in ogni separazione tra coniugi la parte più dolente e delicata è rappresentata dai figli, specie di minore età, il cui ciclo vitale naturale familiare viene bruscamente interrotto dalla rottura del legame sentimentale dei genitori; ed in virtù di una più considerevole attenzione, da parte delle istituzioni e operatori sociali interessati ai problemi della famiglia, per il disagio dei figli. Il percorso di mediazione fornisce un aiuto a tali famiglie “disgregate” affinchè sia i genitori che i loro figli possano riorganizzare la loro vita intorno a nuove sicurezze. Non solo i giudici e gli avvocati, anche gli stessi ex-coniugi hanno piena consapevolezza che ogni separazione, conflittuale e mal gestita, comporta costi sempre troppo alti per tutti, sia in termini di sofferenza individuale, sia in termini sociali, di energie, di tempo e di denaro. Infine, sia consentita una considerazione di natura etica\sociale: in un’epoca come la nostra, dominata da conflitti piccoli e grandi che siano, promuovere una cultura della mediazione può rappresentare la modalità più sana per migliorare le relazioni interpersonali invertire e garantire così anche minori sofferenze, e non improbabili danni patologici. La cultura della mediazione del conflitto familiare si è sviluppata in tutta Europa, con grande interesse delle Istituzioni Comunitarie ed europee, anche grazie alle normative dei singoli Stati in favore delle politiche di sostegno per la famiglia considerata la cellula fondamentale e primaria della società. La norma ex art. 155 sexies c.c. va allora interpretata alla luce delle seguenti norme internazionali: · Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, fatta a Roma il 04 novembre 1950 che all’art.8 prevede il ” Diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare”. A tal proposito la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ritiene che in materia di affidamento dei figli nelle cause di separazione e divorzio i giudici devono ricorrere alla coercizione in maniera limitata ricercando la comprensione e la cooperazione dei genitori, nell’interesse superiore del fanciullo (vedi sentenza Kriz c. Repubblica Ceca del 09/01/2007, ricorso n. 26634/03).
· Convenzione dei diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, che all’articolo 9 comma 3, afferma:”Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori e da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo;”
· Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 che all’articolo 24 comma 3 afferma: “Ogni fanciullo ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori salvo se ciò sia contrario al suo interesse,”
· Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 che all’art. 13 afferma : ” Mediazione ed altri metodi di soluzione dei conflitti. Per prevenire e risolvere i conflitti, ed evitare procedure che coinvolgano un fanciullo dinnanzi ad un’autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano la mediazione o ogni altro metodo di soluzione dei conflitti, nonché la loro utilizzazione per concludere un accordo nei casi appropriati determinati dalle Parti.”
· Raccomandazione n. R (98) del 21 gennaio 1998 Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa “Mediazione familiare metodo appropriato di risoluzione conflitti familiari”, che raccomanda agli Stati di applicare la mediazione alle dispute familiari essendo queste delle “dispute particolari, poiché coinvolgono persone che avranno rapporti interdipendenti e continui. Dal momento che la separazione e il divorzio hanno un impatto su tutti i membri della famiglia specialmente sui bambini, occorre promuovere e potenziare la mediazione attraverso l’opera di un terzo -mediatore- imparziale e neutrale al di sopra del conflitto, che aiuta le parti a negoziare per raggiungere un accordo comune. l mediatore familiare può avere una pregressa professionalità sia nelle scienze psico-sociali (psicologo, psicoterapeuta, assistente sociale, etc.) sia nelle scienze giuridiche (giurista, avvocato etc.), ma deve necessariamente aver conseguito una abilitazione “ad hoc” alla pratica della mediazione familiare, attraverso un percorso formativo (della durata di due anni) certificato dalle scuole di formazione in mediazione, maggiormente rappresentative in Italia come la S.I.ME.F. (Società Italiana Mediatori Familiari), A.I.ME.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari) o A.I.M.S. (Associazione Italiana Mediatori Sistemici), le quali aderiscono agli standards professionali e deontologici europei previsti dalla Charte
Européenne de la formation des médiateurs familiaux dans les situations de divorce et séparation (1992), ribaditi dal Forum Européenne formation et recherche en médiation familiale (1997) e da ultimo dal Code Européenne des mèdiateurs familiaux- European Commission Directorate-General Justice and Home Affairs Bruxelles (2004).
La Carta Europea del 1992 infatti definisce chiaramente che la mediazione familiare non è:
· né una consulenza legale, né una consulenza coniugale; qualora,dunque, un avvocato abilitato alla pratica della mediazione familiare svolgesse la sua attività come mediatore, non dovrà fare consulenze legali,né tanto meno all’esito del processo di mediazione familiare potrà formare un atto giudiziario contenente gli accordi presi fra le parti, né assistere poi giudizialmente alcuna di esse, ma dovrà in virtù della sua doppia deontologia professionale (deontologia dell’avvocato, deontologia del mediatore) inviare le parti presso un altro avvocato, o un altro professionista competente;
· né una terapia individuale o di coppia; qualora, dunque, uno psicologo, psicoterapeuta etc. operi in veste di mediatore familiare non potrà focalizzare il proprio intervento di mediazione sulla cura psicologica delle persone, né sulla cura del legame di coppia, ma dovrà svolgere il processo di mediazione aiutando le parti a riaprire la loro comunicazione per giungere ad accordi consapevoli e soddisfacenti per sé e per l’interesse superiore dei figli.
La Carta Europea del 1992, sopra citata, alla quale anche l’Italia ha aderito, ci fornisce la prima nozione condivisa di mediazione familiare: la mediazione familiare è un processo in cui un terzo neutrale -il mediatore- viene sollecitato dalle parti per fronteggiare la riorganizzazione resa necessaria dalla separazione nel rispetto del quadro legale esistente. La mediazione familiare opera per ristabilire la comunicazione tra i coniugi, l’obiettivo concreto della mediazione familiare è la realizzazione di un progetto di organizzazione delle relazioni che rispetti i bisogni di ogni membro della famiglia, ma in primis rispetti l’interesse superiore dei figli. La mediazione è confidenziale. Tale principio è sottolineato espressamente anche dalla Raccomandazione N.1639(2003) del 25 novembre 2003 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, sulla mediazione familiare, recepita dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il 16 giugno 2004 che all’Articolo 1 chiarisce : ” La mediazione familiare è un procedimento di costruzione e di gestione della vita tra i membri d’una famiglia alla presenza d’un terzo indipendente ed imparziale chiamato il mediatore, il compito del mediatore è di accompagnare le parti della mediazione in un procedimento fondato verso una finalità concordata innanzitutto tra loro”.
Tra gli altri una delle più importanti Associazione Italiana Mediatori Familiari A.I.M.E.F. che nel suo statuto definisce:
L’art 14 dello Statuto dell’A.I.M.E.F. cita:
comma 1) Il mediatore familiare: terza persona imparziale, qualificata e con formazione specifica che agisce in modo tale da incoraggiare e facilitare la risoluzione di una disputa tra due o più persone in un processo informale e non basato sul piano antagonista vincitore-perdente, il cui obiettivo è di aiutare le parti in lite a raggiungere un accordo direttamente negoziato, rispondente ai bisogni e agli interessi delle parti e di tutti i membri coinvolti nell’accordo. L’accordo raggiunto dovrà essere volontario, mutuamente accettabile e durevole. Il mediatore si applicherà affinché l’autorità decisionale resti alle parti. Il ruolo del mediatore familiare comporta fra l’altro il compito di assistere le parti nell’identificare le questioni, di incoraggiare la loro abilità nel risolvere i problemi ed esplorare accordi alternativi, sorvegliandone la correttezza legale, ma in autonomia dal circuito giuridico e nel rispetto della confidenzialità.
comma 2) Mediazione familiare: indica la mediazione di questioni familiari, includendovi rapporti tra le persone sposate e non (conviventi more uxorio, genitori non coniugati), con lo scopo di facilitare la soluzione di liti riguardanti questioni relazionali e/o organizzative concrete, prima, durante e/o dopo il passaggio in giudicato di sentenze relative tra l’altro a: dissoluzione del rapporto coniugale; divisione delle proprietà comuni; assegno di mantenimento al coniuge debole o gli alimenti; responsabilità genitoriale esclusiva o condivisa (potestà genitoriale); residenza principale dei figli; visite ai minori da parte del genitore non affidatario, che implicano la considerazione di fattori emotivi-relazionali, con implicazioni legali, economiche e fiscali.